mercoledì 2 gennaio 2013

No comment [Cyop & Kaf]

CYOP E KAF - NO COMMENT - 160 PAGINE, EDIZIONI STUDIOCROMIE

www.cyopekaf.org/



L'INTERVISTA SU CORRIEREDELMEZZOGIORNO.CORRIERE.IT«Randagi, primitivi e anarchici: i nostri sei anni di arte paracriminale»Esce «No comment», antologia fotografica di Cyop e KafUn fiume di disegni illegali che raccontano la metropoli



Alla conferenza stampa convocata un mese fa nel nuovo Perditempo, bookbar di piazza Dante, si presentarono solo in spirito. Il moderatore si rigirava tra le mani il loro libro fotografico No comment e faceva domande a due sedie vacanti. Ma una voce dall’alto (dal bagno?) rispondeva gentile. La gente assiepata applaudiva un altoparlante. Invisibili, perché «se non vengo mi si nota di più» ma anche perché la messa in scena di un salubre nascondino alimenta la mitologia urbana del duo di street artist più attivi e incondizionatamente anarchici di Napoli. Ecco a voi Kaf e Cyop. Nel volume No comment (160 pagine, edizioni Studiocromie) hanno raccolto tutti i murales o quasi di almeno 6 anni di attività pittorica illegale. Blitz con pennelli, spray, poster, imprescindibili, primitivi. Tanto di cappello ai talenti che espongono in galleria, però nel collasso degli Anni Zero la storia artistica della città segna nei primi capitoli i loro nickname, scolpiti nello stencil. Li intervistiamo, e risponderanno all'unisono.
Kaf, Cyop, il brutto e il bello dell'arte a Napoli. Cosa pensate del modo in cui si somministra e si fruisce delle opere? 
«Perché un pittore di Modena semplicemente un pittore invece uno della nostra città diventa automaticamente un pittore napoletano? Quando varcheremo il ghetto in cui ci siamo autoingabbiati? Il sistema dell’arte napoletano è identico a quello di tante altre metropoli: gigantismo, trovatismo, moda e mercato, mercato, mercato…
Le gallerie sono così poche e irrilevanti che non vale pena parlarne. Poi ci sono musei, vedi il Madre, che sono gestiti come gallerie. Così come un tempo, Lucio Amelio, gestiva una galleria come un museo. La stagione bassoliniana (purtroppo non del tutto tramontata), aveva fatto delle arti plastiche il suo cavallo di battaglia, o meglio -chi può negarlo oggi? -il suo grimaldello. Lo aveva fatto confondendo lo spettacolo dell’arte con la politica culturale che, tutto può concedersi fuorché ignorare il territorio nel quale opera».
Il "Madre"è in crisi, chiude, riapre, cerca soldi: non si vede uno spiraglio. «Il Madre fa bene a cercare fondi privati, poi sta ai fruitori scegliere di entrarci o meno al museo. Tanta gente sceglie di boicottare determinati prodotti. Si può vivere benissimo senza le mostre del Madre. E poi, il mercato dell’arte è di per sé scandaloso. La costruzione del valore a tavolino speculazione bella e buona. Bateson ci insegna che, superata una certa soglia, il denaro inquina» .
Oggi rifiutereste ancora lo spazio offertovi dal direttore del museo, Cicelyn, tre anni fa?
«Quando con la nostra mostra “Diniego” circondammo il Madre: cercavamo, indicando la luna, di far discutere su alcune problematiche che allora come oggi affliggevano la città. I giornali, ma anche il direttore del museo, che demagogicamente ci offrì uno spazio da gestire, e che ci invitava in sostanza a trasformarci in quell’animale mitologico che è il “curatore”, guardavano al dito. Non cercavamo posti da gestire ma semplicemente di rompere quel dannoso silenzio che spesso cala in questa Napoli secolarmente rassegnata».
Dove vi piacerebbe fare un graffito enorme? Un muro, una superficie, che avete in mente ma che per ora resta un sogno proibito?
«Abbiamo scritto una volta che "i sogni nel cassetto fanno la muffa"e quindi se non abbiamo fatto finora pareti enormi è perché non abbiamo voluto».
Che libro state leggendo? Qual è l'ultimo film che avete visto?
«Dai cancelli d’acciaio di Gabriele Frasca che uscirà a breve gennaio e del quale stiamo realizzando la copertina. Poi, abbiamo appena finito di vedere il montato de La fabbrica incerta, di Luca Rossomando, documentario sugli operai della Fiat di Pomigliano d’Arco con inserti disegnati da noi. La prima proiezione pubblica sarà all'Astra il 21 gennaio».
Chi sarà il prossimo sindaco di Napoli? 
«L’anarchismo non prevede sindaci».
Cosa è cambiato in città dal punto di vista sociale, umano, civile, civico, politico, dai tempi delle tombe e delle papere che disegnavate in giro 6 anni fa?
«La politica in Campania sperimenta tutto il peggio che poi verrà diffuso nella nazione. Pensate solo alle dittature emergenziali. Post-terremoto dell’ 80, poi i rifiuti, L'aquila, le sciagure sulle quali speculare indisturbati… Napoli non è altro che la punta di quell’iceberg chiamato Italia. Molto di quanto sta accadendo oggi lo si può leggere nelle pagine di alcuni romanzi di Walter Siti» .
L'arte contemporanea possibile è solo in strada o in rete? 
«Lavorare in strada sembra essere diventato negli ultimi anni un obbligo, se non una moda. In molti pensano che portare la propria opera nelle strade aggiunga valore in automatico, ma se un lavoro è brutto lo è sia dentro che fuori. Vivere la città è una attitudine. Nel nostro caso è nata con i graffiti, stando ore e ore aspettando il momento giusto, eludendo le sorveglianze, le telecamere. E più che arte la nostra resta un’attività paracriminale, perché ancora mette in discussione la proprietà privata. Sapessi che sollievo, qualche giorno fa, quando spacchettato un edificio appena restaurato a piazza Carità è comparsa una scritta, dozzinale, con bomboletta rossa che recita: "Nessun muro resterà più bianco". In rete ci saranno sicuramente tante cose belle ma a noi dopo un po'bruciano gli occhi» .
Niente installazione in piazza Plebiscito. Troppa austerity o va bene così? 
«Più spazio per le partite di calcio dei ragazzini che i commercianti della galleria Umberto puntualmente cacciano via…».
Cosa ne pensate di internet e delle sue potenzialità, nell'arte e nella vita? 
«Le nuove tecnologie stanno modificando silenziosamente il relazionarsi tra le persone. L’ubiquità virtuale dell’esporsi in diretta ha qualcosa che ci inquieta profondamente, ma che al momento ci sfugge. Frasca direbbe così: io ti guardo, io ti guardo guardarmi, io ti guardo guardarmi guardare! Certo, c'è più accesso alle informazioni, ma al momento, anche molta più confusione, che forse ci farà bene. Vedremo…».
Alessandro Chetta



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