martedì 3 aprile 2012

ATTENZIONE SI SCIVOLA! [Buster Keaton]


Introduzione
Buster Keaton (1895- 1966) è un 'classico', e parlare di lui significa di conseguenza occuparsi un pò della 'storia' del cinema.
Quando Keaton nasce, i Lumière cominciano le prime proiezioni; quando Keaton produce le sue migliori opere, negli anni '20, per moltissimi il linguaggio del cinema era nato da pochi anni, e questo significa pochi mezzi e poche conoscenze tecniche delle possibilità di un set. E se quasi da subito il mercato mette le mani sul cinema appiattendo la sperimentazione, Keaton fa immediatamente eccezione: i suoi film hanno successo di pubblico ma riescono ad essere autonomi, nuovi, sperimentali e liberi dalle regole della tradizione cinematografica che andava già formandosi. In Keaton assumono quindi importantza "l'artigianato", l'inventiva, la creatività, spesso oltre i limiti del possibile di quel tempo.
L'incontro tra il giovane Keaton e la macchina da presa dà avvio ad una delle ondate creative più straordinarie che la storia del cinema abbia mai vissuto, un lavoro che ci appare molto più attuale e sperimentale di quello di tanti mediocri autori contemporanei.
Il periodo d'oro dell'opera di Buster Keaton è racchiuso tutto nell'arco degli anni '20, in una ventina fra cortometraggi e mediometraggi, tra cui grandi riflessioni sul cinema come "Il cameraman" e "Sherlock jr", e straordinari cortometraggi come "Hard Luck" e "One week".
Questa carica energetica poi finirà con l'avvento del sonoro, inghiottita da Hollywood e dalle esigenze del capitale e del mercato, che non ammette superamenti dialettici delle contraddizioni, nè uno sforamento così radicale del linguaggio. Fa un pò storia a sè, nell'ultimo anno di vita dopo decenni di opere sottotono, l'interpretazione magistrale di "Film" di Schneider e Beckett.
Analizziamo alcuni elementi che ci permettono di tracciare un discorso introduttivo sul cinema di Buster Keaton e sulla sua visione del mondo, tenendo conto di alcuni fattori:
- Keaton è stato insieme regista, sceneggiatore e attore, e non è possibile scindere la maschera la recitazione le acrobazie con lo stile registico.
- i film di Buster Keaton costituiscono un discorso uniforme e omogeneo, e le variazioni di situazioni personaggi e 'trame' diventano quindi marginali. Ad accomunarli è una visione del mondo, una filosofia, oltre che una struttura e una tecnica. Quindi un'analisi 'generale' è sicuramente più interessante e funzionale rispetto a un affannoso tentativo di raccontare i suoi singoli film.

lunedì 2 aprile 2012

Waking life - Shaded outlines

Se mi rifiuto di considerare l’esistenzialismo solo un’ennesima moda francese o una curiosità storica, è perché credo che abbia qualcosa di molto importante da offrirci per il nuovo secolo. Io temo che stiamo perdendo la capacità del vivere la vita con passione, di assumerci la responsabilità di quello che siamo, la capacità di raggiungere dei risultati e di sentirci soddisfatti della vita.

L’esistenzialismo viene spesso trattato come una filosofia della disperazione, ma io credo che sia esattamente l’opposto.

Sartre in un intervista ha detto di non aver mai vissuto un solo giorno di disperazione. Quello che viene fuori dalla lettura di questi filosofi, non è tanto un senso di angoscia nei confronti della vita, ma al contrario una certa esaltazione del sentirsi padroni della vita stessa, siamo noi cioè a crearci la nostra vita.

Ho letto i post-moderni con interesse, perfino con ammirazione, ma quando li leggo ho sempre la sensazione molto fastidiosa che qualcosa di assolutamente essenziale venga tralasciato. Ogni volta che parli di una persona come di una costruzione sociale o come di una convergenza di forze diverse o come di un individuo frammentato oppure compatto, non fai altro che aprire le porta ad una marea di giustificazioni. Quando Sarte parla di responsabilità, non sta parlando di qualcosa di astratto, non sta parlando di quel genere di Io o di anima di cui discuterebbero i teologi, ma di qualcosa di molto concreto, come io e te che parliamo, prendiamo decisioni, facciamo cose e ne accettiamo le conseguenze.

È vero che al mondo siamo sei miliardi di persone e stiamo aumentando ciononostante quello che fai fa la differenza. Fa la differenza innanzitutto in termini materiali, fa la differenza per le altre persone e crea un precedente. Insomma io credo che da questo bisogna capire che non dobbiamo mai chiamarci fuori e pensare di essere vittime di una concomitanza di forze.

Siamo sempre noi a decidere chi siamo.



L'elogio dell'oblio [Emir Kusturica]

"L’uomo è incline all’oblio. Ma la tecnica usata per dimenticare, col tempo, diventa una fondamentale abilità umana? Se l’oblio, quel monarca, non sapesse mettere in ombra i pensieri dominati dalle passioni, e consegnarli alla memoria perché siano messi in ordine, il cervello diventerebbe un semplice container. E il giorno successivo potrebbe, in assoluto, iniziare senza l’oblio? Che cosa accadrebbe se dovessimo seguire la sofferenza come fosse una cronaca ininterrotta dal centro della nostra anima, e se l’oblio non eclissasse la storia difficile della nostra vita, così come una nube copre il sole? Non sopravviveremmo. Lo stesso accade con le cose che suscitano grande gioia. Se l’oblio non le anestetizzasse, impazziremmo dalla felicità. Solo la dimenticanza, col tempo, lenisce il dolore per un amore perduto. Quando il nostro rivale ci molla un ceffone durante la ricreazione, conquistandosi così le simpatie della bambina di cui siamo entrambi innamorati, è solo l’oblio, in seguito, a farci guarire dall’irreparabile perdita amorosa? La ferita si rimargina, così come, col tempo, una fotografia perde la patina lucida della carta fotografica.
Come fa l’uomo a sopravvivere alle crisi storiche? Solo grazie al fatto che prima e dopo l’evento critico regna l’oblio. La capacità della massa di dimenticare le cause dei grandi rivolgimenti della storia, e di accettare la successiva presa di coscienza come verità, mi ha spinto a scindere l'oblio dal legame razionale di causa-effetto. Quando, dopo la guerra in Bosnia, ho visto i cleronazionalisti osannati come fossero i più grandi combattenti per una Bosnia multietnica, solo perchè venissero realizzati gli obiettivi strategico-militari di una grande potenza, mentre le vittime di tutte le parti in causa erano meno importanti, tranne quelle che servivano allo scopo citato, ho accettato la verità che l'oblio è come una chiusa, alla quale giungono sia i pensieri sfuggiti dal passato sia quelli del futuro.
Dopo le vittime e le sofferenze delle guerre balcaniche e alla fine del bombardamento della Serbia, anch’io cominciai a esercitarmi all’oblio, o almeno a ricacciare indietro i pensieri che producevano tensione.
La questione delle crisi e delle guerre è cambiata, e l’oblio, col tempo, è diventato una consolazione. Infatti, se non ci fosse l’oblio, come potrebbe l’uomo abituarsi alle idee perverse del mondo contemporaneo? Come avrebbe accettato, per esempio, la guerra umanitaria? Quando appartieni a un piccolo popolo che si rifiuta di seguire senza obiezioni le idee dei grandi, e che, al culmine di una ricomposizione del mondo, si chiede: Dove siamo noi in questa storia??.
L'oblio, in seguito, gioca un ruolo decisivo nel processo di assuefazione. Infatti, prima dimentichi di averle prese sul muso e riformuli in fretta la domanda di cui sopra, trasformando il plurale in singolare, e chiedendo quindi “Dove sono io in questa storia??”.
Cosi è anche nella vita individuale. Prima dimentichi quel ceffone nel cortile della scuola, prima si crea la possibilità di un nuovo innamoramento. L'oblio è una dose di ricordo, il suo elemento fondamentale su cui anche nella storia si conta e con cui si gioca. Non solo nel caso di un muso rotto per cattiva condotta.
Benché io sia fra quelli che credono che dimenticare sia una salvifica formula di sopravvivenza, voglio discostarmi dalla tendenza contemporanea all'oblio. Oggi la massa segue il modello gallinaceo e ricorda solo ciò che avviene fra una distribuzione di becchime e la successiva. Soprattutto perchè l'oblio è stato messo in funzione dalla teoria della fine della storia, che si è diffusa nel mondo negli anni novanta del secolo scorso. I tamburini del capitalismo liberale ci hanno in tal modo suggerito di rinunciare alla fede nella cultura e nell'identità per abbandonarci al vortice della rivoluzione tecnologica che dovrebbe canalizzare tutte le correnti del nostro destino, così che il mercato divenga il regolatore dei principali processi della nostra vita. Questo atteggiamento prepotente ha risvegliato in me l'idea di regolare i conti con la memoria, ma anche di farli con l'oblio.
Nel millenovecentonovantadue morì mio padre. Lo stesso anno la Jugoslavia scomparve e, dopo il distacco della Croazia, il telegiornale del primo canale della televisione francese iniziò con la notizia: “La Jugoslavie n’existe plus”.
Per questo il finale di Underground è una compagnia balcanica dionisiaca che va alla deriva.
Proprio perché allora mi sembrava che la terra mi si spaccasse sotto i piedi. Se dovessi girare il seguito di Underground, la terra non si aprirebbe più. Sarebbe il cielo a squarciarsi, alla fine."
[tratto da "Dove sono in questa storia" di Emir Kusturica]
Il cinema di Kusturica è quello di un popolo che non ha più terra e non ha più casa.
Le scelte della sua vita e il suo modo di raccontare riflettono questo aspetto, e creano un contrasto fra la rappresentazione drammatica del reale e un certo lato bizzarro nostalgico e fantastico di vedere il mondo.
Precisiamolo meglio attraverso la definizione del termine 'grottesco': insolitamente deforme e innaturale, bizzarro, inspiegabile e caricaturale al punto tale da andare contro il senso comune, innescando una comicità allibita.
Dopo la guerra e gli eventi successivi, Kusturica affermò che la sua città non era più sua, cambiata, distrutta nel paesaggio nella cultura e nelle abitudini.
Dopo tanti anni di cosmopolitismo (Stati Uniti, Francia, Serbia ecc..), ha deciso di realizzare l'utopia di costruirsi una città tutta per se.
Mokra Gora è un incantevole paesino montano della Serbia, sprofondato da sempre nel Medioevo e immerso nella natura, che dal tempo della guerra è stato abbandonato dagli uomini, fino a quando, cercando la località dove girare “La vita è un miracolo”, arrivò Emir Kusturica.
Innamoratosi del posto e della storia, il regista ha acquistato la zona e ha fondato il suo villaggio in cima alla montagna, la “Città di legno”, costruita secondo i principi della bioarchitettura.
Il regista si è proclamato sindaco ed è lui ad emanare le leggi.
“Non credo più tanto alla democrazia. Nel mio paese ha prodotto solo guasti. D’ora in poi le regole le stabilisco io. In questo villaggio tutto è al contrario: normalmente sono i cittadini che scelgono il sindaco, invece qui sono io a scegliere gli ospiti.
Gli abitanti non potranno essere più di un centinaio, gli altri potranno vivere nel villaggio per un po’, imparare qualcosa e poi andarsene. L’importante è che accettino le regole. E che cosa potranno fare questi cittadini a tempo? “Studiare, fare cinema, musica, ceramica. Essere creativi.
Un posto per la rinascita morale ed estetica del popolo, un’unione di turismo e cultura”.
Ho perso la mia casa durante la guerra. Per questo ho voluto costruire il mio villaggio. E' un progetto utopico, per questo è intrigante. Organizzerò lì seminari per chi vuole imparare a fare cinema, concerti, a lavorare la ceramica, dipingere. E’ il posto dove io vivo e dove un po’ di persone, di tanto in tanto, arrivano. Ci saranno ovviamente altri abitanti che lavoreranno a questo progetto. Sogno un luogo aperto alla diversità culturale che sfida la globalizzazione e l'appiattimento culturale”
Nel sottosuolo del villaggio c’è anche una sala cinematografica da un centinaio di posti, dove si svolge annualmente il festival del cinema fondato dal regista-sindaco.
Ma il nomade, l'apolide Kusturica, non poteva certo essere un sindaco di un luogo nella norma. A Mokra Gora Kusturica è il re di una città che non esiste.


domenica 1 aprile 2012

> Lunga vita alla nuova carne

Morte a Videodrome >

Lo schermo televisivo, ormai, è il vero unico occhio dell'uomo. Ne consegue che lo schermo televisivo fa ormai parte della struttura fisica del cervello umano. Ne consegue che quello che appare sul nostro schermo televisivo emerge come una cruda esperienza per noi che guardiamo. Ne consegue che la televisione è la realtà e che la realtà è meno della televisione.
ESTRATTO DA VIDEODROME DI DAVID CRONENBERG e DA IO E ANNIE DI WOODY ALLEN
[MARSHALL MCLUHAN E LA FINZIONE SUL REALE]

L'occhio che voleva cambiare il cinema (e il mondo)

"..Noi affermiamo che i vecchi film, romanzati, teatralizzati e simili, hanno la lebbra. Non vi avvicinate! Non toccateli con gli occhi! Pericolo di morte! Contagio! Noi dichiariamo che il futuro dell’arte cinematografica è la negazione del suo presente. Noi lanciamo un appello per affrettarne la morte. […] cerchiamo il nostro ritmo senza rubarlo a nessuno e lo troviamo nei movimenti delle cose.
..io sono il Kinoglaz. Sono l’occhio meccanico. Sono la macchina che vi mostra il mondo così com’è. […] Sono in ininterrotto movimento. Mi avvicino agli oggetti e me ne allontano, scivolo sotto di essi, entro in loro, mi muovo accanto al muso di un cavallo che fugge, fendo in piena corsa la folla, corro dinanzi ai soldati che corrono, mi rovescio sulla schiena, mi levo con gli aeroplani, precipito e risalgo, in volo, con corpi che precipitano e risalgono.."
Nel primo manifesto degli anni '20 del "Cine-occhio" (progetto cinematografico sovietico), il regista Dziga Vertov pone la sua fiducia nella esaltante possibilità di creare un cinema adeguato al progetto globale della rivoluzione, con nuovi linguaggi  che finiscano per distruggere le forme artistiche borghesi, e che questo progetto vada di pari passo con il nuovo assetto rivoluzionario della Russia.
Vertov credeva che le storie di finzione fossero solo fumo che il potere borghese gettava negli occhi del popolo, e per questo affermava la superiorità del documentario sul cinema di finzione.
I progetti di Vertov saranno via via rifiutati e boicottati dal potere cinematografico statale, giudicati poco affini alle direttive, stroncando così il tentativo di costruzione di un nuovo linguaggio.
Dziga Vertov, (maggiore esponente del movimento d'avanguardia Kinoglaz, con il suo "L'uomo con la macchina da presa" si è inserito fra i classici della cinematografia mondiale) è un artista che ha perduto la sua battaglia, ma è per questo uno fra i più straordinari esempi di ciò che avrebbe potuto essere (e non è stato) il cinema 'rivoluzionario'.
bibliografia consigliata: "L' occhio della rivoluzione. Scritti dal 1922 al 1942 - Dziga Vertov - a cura di P.Montani"




Un uomo e la sua cinepresa [da Lisbon story di Wim Wenders]


"..Le immagini non sono più quelle di un tempo. Impossibile fidarsi di loro, lo sappiamo tutti, lo sai anche tu. Mentre noi crescevamo le immagini erano narratrici di storie e rivelatrici di cose. Ora sono tutte in vendita, con le loro storie e le loro cose. Sono cambiate sotto i nostri occhi. Non sanno più come dimostrare nulla, hanno dimenticato tutto. Le immagini vengono svendute al di là del mondo Winter... e con grossi sconti!
Quando sono venuto a Lisbona per girare il mio filmino, pensavo di fare chissà che. Quanto ne abbiamo parlato, ricordi? Volevo realizzarlo in bianco e nero, con una vecchia cinepresa a manovella, come Buster Keaton e il cameraman, girandola solo per le strade: un uomo e la sua cinepresa. Evviva Dziga Vertov! Facendo finta che tutta la storia del cinema fosse zero e ricominciando dal principio, cent'anni dopo. Beh, non ha funzionato Winter... diciamo che per un po' mi è sembrato anche possibile, ma poi tutto è crollato. Io amo davvero questa città, Lisboa, e c'è stato un tempo che io veramente l'ho vista, di fronte ai miei occhi. Ma puntare una cinepresa è come puntare un fucile e ogni volta che la puntavo mi sembrava come se la vita si prosciugasse dalle cose. E io giravo, giravo, ma ogni colpa di manovella la città si ritraeva, svaniva sempre di più, sempre di più, come il gatto di Alice. Nada.
Stava diventando insopportabile, Dio lo spavento che mi ha preso. a Questo punto ho cercato il tuo aiuto e per un po' ho vissuto con l'illusione che il suono potesse salvare il giorno, che i tuoi microfoni potessero strappare le mie immagini alle loro tenebre. No, non c'è speranza, non c'è speranza per nulla Winter, non c'è speranza. Ma questa è la strada Winter, e io voglio percorrerla.
Ascolta.
Un'immagine che non sia stata vista non può svendere nulla. È pura e, perciò, vera e meravigliosa. Insomma innocente. Finché nessun occhio la contamina, è in perfetto unisono col mondo. Se nessuno l'ha guardata, l'immagine e l'oggetto che rappresenta sono l'uno dell'altra. Sì, una volta che l'immagine è stata vista, l'oggetto che è in essa muore.
Ecco, Winter, la mia biblioteca delle immagini non viste: ognuno di questi nastri è stato girato senza che nessuno guardasse attraverso la lente. Nessuno li ha visti mentre venivano impressi. Nessuno dopo che li abbia controllati. Tutto quello che ho ripreso l'ho ripreso alle mie spalle. Queste immagini mostrano la città (Lisbona, ndt) com'è e non come vorrei che fosse. Insomma queste sono nel primo dolce sonno dell'innocenza, pronte per essere scoperte da generazioni future con occhi diversi dai nostri.
Non preoccuparti amico, saremo morti da un pezzo.."

eresia un è mondo il cambiare

Introduzione alla vita non-fascista

Come fare per non diventare fascisti anche se (soprattutto se) si crede di essere militanti rivoluzionari ? Come liberare i nostri discorsi e i nostri atti, i nostri sentimenti e i nostri piaceri dal fascismo? Come snidare il fascismo rintanato nel nostro carattere ?

- Azione politica libera da qualsiasi paranoia totalizzante e unitaria.
- Sviluppo di azioni, pensieri e desideri mediante proliferazione, giustapposizione, disgiunzione, e non per suddivisione e gerarchizzazione piramidale.
- Non fidarsi più delle vecchie categorizzazioni del Negativo (legge, limite, castrazione, carenza, lacuna), per troppo tempo sacralizzate dal pensiero occidentale come forma di potere e accesso alla realtà. Preferire ciò che è positivo e molteplice, la differenza all’uniformità, i flussi all’unità, le disposizioni mobili ai sistemi. Credere che ciò che è produttivo è nomadico e non sedentario.
- Non credere che occorra essere tristi per essere militanti, per quanto sia abominevole ciò che si combatte. E’ la connessione del desiderio con la realtà (e non la sua fuga nella forma della rappresentazione) che possiede forza rivoluzionaria.
- Non usare il pensiero per fondare una pratica politica sulla Verità, né l’azione politica per screditare – in forma meramente speculativa – una linea di pensiero.
- Usare la pratica politica come un intensificatore del pensiero, e l’analisi come un moltiplicatore delle forme e degli ambiti d’intervento dell’azione politica.
- Non chiedere alla politica il ripristino dei “diritti individuali”, come sono stati definiti dalla filosofia. L’individualità è un prodotto del potere. Ciò che occorre è “de-individualizzarsi”, con la moltiplicazione e la dislocazione, in combinazioni diverse.
- Il gruppo non dev’essere un legame organico che unisce individui gerarchizzati, ma un costante generatore di”de-individualizzazione”.
- Non innamorarsi del potere.

Michel Foucault
[dalla prefazione a "Antiedipo" (1972) di G.Deleuze e F.Guattari]

E ORA QUALCOSA DI COMPLETAMENTE DIVERSO