“Morte di un matematico napoletano” di Mario Martone.
Indica già nel titolo la definitiva inversione temporale indotta dal cinema, lo sdoppiamento inevitabile anche dentro la semplicità, la frattalità di ogni linearità: "morte di..", invece che "vita di..", non biografia, un matematico, un napoletano, un sospetto accostamento surrealista supportato invece dalla storia.
Morte di un matematico napoletano segna la completa estraneità di un personaggio (Carlo Cecchi in Renato Caccioppoli) rispetto ai suoi forti apparentamenti (famiglia, città, università), magnificamente visti dal film. La prima parentela è quella col set, anzi diventa set: Napoli. La prima scena è un tentativo di fuga geografica e alcolica placidamente interrotta da una richiesta di documenti. E la fortissima parentela col set di Napoli e l'esemplarità politica di una biografia ribadita dallo straordinario lungo ricominciamento rosselliniano dopo il sucidio (la scena del funerale), sono nulla, se non si riesce neanche a torcere la propria mano finchè si riafferri da sola, a mettere a contatto in un istante la parola e la cosa, la formula e il peso, l'immagine e il fuoricampo, due occhi filmati e quel loro controcampo assoluto.
Il film si pone oltre, dalla parte della lesione interna, nascondendo fino alla fine la mossa più radicale, ma costringendoci fin dall'inizio con un opera già 'postuma' (morte di..) ad avanzare in un territorio di spettri, di morti non-morti, identificazione precisa sia del cinema sia di napoli.
Composizione e decomposizione di un corpo che fu.
[Enrico Ghezzi]
Ultimi giorni nella vita di Renato Caccioppoli (Capodimonte,
Napoli1904- Chiaia, Napoli1959), figlio di Giuseppe (noto chirurgo napoletano)
e della sua seconda moglie Sofia Bakunin, (figlia del rivoluzionario russo
Michail Bakunin, che soggiornò più volte a Napoli nella sua attività politica),
matematico insigne, provocatore antifascista, eretico
compagno di strada del PCI, protagonista della vita culturale di Napoli, dandy
alcolista, raffinato pianista e cinefilo, un mito per i giovani, abbandonato
dalla moglie e allontanatosi dai compagni e dai colleghi di ateneo, finì
suicida.
Martone, senza retorica, racconta Caccioppoli (un Carlo
Cecchi di straziante intensità) senza dirci della sua vita (non è un film
biografico ne leggendario, non sarebbe possibile), nella disillusione e nel
tormento di una Napoli ingiallita e quasi crepuscolare che lo riflette come uno
specchio in frantumi, senza portare lo spettatore a collegare il suicidio a
questo o a quest'altro motivo (il tradimento della moglie, l'alcol, la
delusione politica), come quei giornalisti e scrittori che invece così facendo
hanno ridotto l'esistenza a parzialità.
DOCENTE ALLA FEDERICO II
Giovanissimo ottenne un premio ministeriale per la
matematica e nel 1931, vincendo il concorso a soli 27 anni la cattedra di
Analisi algebrica all'Università di Padova. Nel1934 tornò a Napoli per coprire
la cattedra di Teoria dei gruppi; successivamente passò alla cattedra di
Analisi Superiore e dal 1943 a quella di Analisi Matematica.
In pochi anni diventa socio ordinario delle più importanti
Accademie della matematica e delle scienze.
Non ebbe mai dei grossi riconoscimenti internazionali, sia
per la sua trascuratezza nei dettagli dei suoi scritti, sia a causa
dell'isolamento in cui il regime fascista aveva gettato la cultura italiana.
Oggi Renato Caccioppoli è considerato uno dei più creativi e
importanti matematici italiani della prima metà del Novecento, con il suo
“pensare in grande” e il suo non voler celare gli orizzonti infiniti della
ricerca.
Renato Caccioppoli non era probabilmente il professore che
uno studente sogna di avere ad ogni esame: a volte teneva le lezioni in
napoletano, (era poliglotta, famose anche le sue battute in francese), altre
volte era visibilmente ubriaco e disattento.
Teneva lezioni brevissime, arrivando sempre in ritardo e
lasciando l’aula spesso in anticipo: giustificava la cosa spiegando che un
quarto d’ora delle ‘sue’ lezioni contenevano più scienza e informazione di due
ore di lezione normale. E forse era vero: gli studenti erano affascinatissimi
dal suo carisma, anche se molti chiedevano di cambiare cattedra per sostenere
dopo i corsi l'esame con l'altro docente di ruolo. Superare un esame con
Caccioppoli era motivo di grande orgoglio, ma solo pochi ardimentosi osavano
cimentarsi.
Caccioppoli era intollerante nei confronti dei piccoli
trucchi degli studenti, delle mezzecalzette raccomandate della borghesia, dei
superficiali e dei pressappochisti che lo rendevano severo, a volte
intrattabile e velenoso sopratutto in sede di esame. A lezione no. Era più
disponibile e gentile.
L'assistente era Don Savino, e neanche lui sfuggiva alle
pungenti battute del professore. Un “prete”, assistente d'‘o prufessore cumunista,
faceva parte del mito, del “paradosso” Caccioppoli e alimentava la “leggenda
metropolitana” di questa figura così stravagante.
Alla Federico II girano ancora oggi molte storie sulla sua
personalità..come la volta che bocciò uno studente reo di non aver disegnato il
tratteggio agli estremi di una retta; il professore obbligò il ragazzo a
continuare la linea di gesso fino alla fine del corridoio...
IL PERIODO FASCISTA FRA I PAZZI 'CIVILI'
Caccioppoli provava una forte avversione per un regime
antidemocratico come quello fascista e sentiva un profondo fastidio verso la
sua grossolanità.
Nel maggio del 1938 tenne un discorso contro Hitler e
Mussolini, quando quest'ultimo era in visita a Napoli: insieme alla compagna,
Sara Mancuso, fece suonare l'inno nazionale francese da un'orchestrina,
dopodiché iniziò a parlare contro il Fascismo e il nazismo in presenza di
agenti dell'OVRA. Fu arrestato con il rischio di confino, ma sua zia, Maria
Bakunin, all'epoca docente di Chimica all'Università di Napoli, riuscì a farlo
scarcerare convincendo le autorità dell'incapacità di intendere e di volere del
nipote.
Caccioppoli fu così internato in un centro psichiatrico
insieme a pazzi e malati ricoverati e dimenticati da anni, ma continuò anche lì
gli studi di Matematica, elaborando proprio allora alcune delle sue migliori
teorie. Dirà successivamente che in quel periodo del fascismo trovò fra quei
pazzi persone molto più civili rispetto ai liberi schiavi del regime.
Un altro famoso aneddoto racconta che durante l'epoca
fascista, a seguito del divieto per gli uomini di passeggiare con cani di
piccola taglia (secondo i fascisti per "salvaguardia della
virilità"), camminò, come forma di contestazione, per le principali strade
di Napoli (via Caracciolo e Corso Umberto) con un gallo al guinzaglio. (!)
MILITANZA E PCI - UN COMPAGNO POCO AFFIDABILE
Caccioppoli si impegna attivamente in politica, assieme a
moltissimi altri intellettuali napoletani.
Nel dopoguerra si avvicinò al Partito Comunista Italiano.
Il PCI viene visto come la forza in grado di rigenerare il
Paese e dargli una prospettiva di trasformazione. Comincia a frequentare le
sezioni del partito (di cui, tuttavia, non prenderà mai la tessera), la sede
napoletana del'Unità e a tenere comizi per il partito. Gira sembra con una
copia dell'Unità nel giaccone. Le appassionate discussioni politiche con i
giovani che la frequentano (Francesca Spada, Ermanno Rea, Franco Prattico, Ivan
Palermo, Mariano D’Antonio) si svolgono nella sede del quotidiano comunista,
intorno ai tavoli del bar “Gambrinus” o in qualche trattoria, e si spingono
spesso fino a notte inoltrata.
Per i suoi precedenti penale e per il suo impegno in almeno
due occasioni, nel 1953 e nel 1954, gli fu negato il visto sul passaporto per
partecipare a congressi internazionali.
Ma Caccioppoli è un non-conformista nato, è insofferente
alle logiche di partito. Critica un Pci troppo rigido, fedele solo ai propri
obiettivi, a se stesso e a chi lo giuda, non ne condivideva la politca su
alcune questioni internazionali (rimase profondamente turbato dall'invasione
dell'Ungheria nel 1956) e la dottrina scientifica ufficiale sovietica.
La sua presenza intorno al partito veniva vissuta con
sofferenza, con malcelata sopportazione.
Per paura dei suoi discorsi troppo critici, Amendola lo
pressava per avere una scaletta, una bozza scritta da controllare prima dei
comizi
Un giorno a Bari invece di un comizio per “Partigiani per la
pace”, il professore tenne un improvvisato concerto di pianoforte.
Certo averlo alle iniziative costituiva un grande vantaggio
sul piano propagandistico. Ma che peso e che preoccupazione doversi portare
appresso un “simpatizzante” simile, genio sin che si vuole, ma così imbevuto di
decadentismo, così diverso, così distante. E così pericoloso, per via del
grande ascendente che aveva soprattutto sui giovani …e lui non era affatto
inconsapevole d’essere fonte di apprensione e anche di fastidio. Stava
semplicemente al gioco, replicando a modo suo: con la forza dell’ironia.
L’amore per la libertà, la critica feroce delle convenzioni
borghesi, l’insofferenza per l’arroganza e la stupidità del potere, non gli
derivavano soltanto da una tradizione familiare dominata dall’ingombrante
figura di nonno Bakunin, ma forse erano anche conseguenza diretta del suo
inflessibile rigore intellettuale, intransigente e scontroso e della sua
attività di matematico innovativo.
Una grande dirittura morale nascosta sotto una maschera
d’ironia e nonchalance, ma “inaffidabile” per i compagni.
DUE RITRATTI E UN PIANOFORTE – LA CULTURA DI CACCIOPPOLI
Frequenta gli stessi salotti, gli stessi circoli, gli stessi
caffè di La Capria, Ghirelli, Anna Maria Ortese, Patroni Griffi, Francesca
Spada, Alicata: a Sorrento incontra Gide (che nel suo Journal ricorderà quegli
occhi così sfavillanti d’intelligenza), frequenta Moravia ed Elsa Morante, si
lega d’amicizia con Neruda ed Eluard.
La sua notorietà non è limitata ai cenacoli intellettuali:
quando di giorno percorre la strada da Palazzo Cellamare a via Chiaia, dove
abita da solo, fino all’università, quando fino a notte alta passa da un caffè
all’altro, tutti riconoscono, non foss’altro che per l’esile silhouette di
dandy trasandato, ‘o prufessore, o come anche lo chiamano ‘o genio, o'pazz, o'comunista.
Sperimentò la vita dei barboni, e fu arrestato, ubriaco
fradicio, per accattonaggio di notte dalla polizia per un controllo a Piazza
Garibaldi, a Napoli, nell'incredulità degli agenti.
Un impermeabile e una canottiera bianca (si vestiva sempre
così con qualsiasi clima e temperatura), per quella che passerà alla storia
come la leggenda del “vestivamo alla Caccioppoli”, per questo logoro trench
bianco beige, sporco, portato in giro, alla Tenente Colombo, per le strade di
Napoli, con sempre maggior sciatteria; questo matematico geniale e insuperabile
che si perde nell’alcool, intellettuale colto e raffinato, intransigente e
spietato avversario dell’ignoranza e della banalità, affidava le sue lunghe
notti a compagnie non sempre raccomandabili.
Un uomo innamorato di cinema (fondatore del Circolo del
Cinema, uno dei primi cineforum post-guerra a Napoli) e un appassionato di
musica (era anche un ottimo pianista).
Con Caccioppoli, notturno anticonformista fino allo
scandalo, le serate finivano per lo più all’osteria. Altre volte invece
finivano a casa sua, dove con Francesca Nobili Strada (la giornalista
dell’Unità che morì suicida due anni dopo la morte di Renato) il professore si
metteva a suonare il piano: a quattro mani suonavano pezzi per lo più dannatamente
romantici, pezzi che non finivano mai, oppure finivano per congiungersi quasi
senza soluzione di continuità ad altri pezzi, obbligando incalliti
chiacchieroni ad un silenzio forzato, talvolta insopportabile, tanto che il
gruppo si sfoltiva progressivamente, per successive defezioni in punta di
piedi.
Influenzato dall’anticrocianesimo, amava discutere di
Nietzsche, Proust e l’amato Rimbaud.
Aveva piazzato sul proprio scrittoio, in due portaritratti
d’argento, il volto del giovane poeta e quello di un matematico: Rimbaud e
Galois, destinati a colloquiare tra loro, nonché a notte entrambi con il
professore stesso.
LA MORTE
L'8 maggio 1959 arriva la notizia del suicidio, un colpo di
pistola alla testa, nella sua casa di Palazzo Cellammare (fra via chiaia e via
filangieri).
La crescente instabilità aveva acuito le sue
"stranezze", al punto che la notizia non colse di sorpresa quanti lo
conoscevano.
Un uomo 'disabitato', come lo definì qualcuno, che si portava dietro tutte le lacerazioni e i conflitti interiori mai risolti.
Un giorno disse: “Se hai paura di
qualcosa, misurala; scoprirai che si tratta di un’inezia”.
- BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA:
Morte di un matematico napoletano - Fabrizia Ramondino Mario Martone - Ubu editore
La regola del disordine - Roberto Gramiccia - Editori Riuniti
Renato Caccioppoli L'enigma - Antonio Toma - Edizioni scientifiche italiane
Renato Caccioppoli tra mito e storia - Gatto Rigatelli - Sicania editore
Mistero Napoletano - Ermanno Rea - Einaudi editore
Morte di un matematico napoletano - Fabrizia Ramondino Mario Martone - Ubu editore
La regola del disordine - Roberto Gramiccia - Editori Riuniti
Renato Caccioppoli L'enigma - Antonio Toma - Edizioni scientifiche italiane
Renato Caccioppoli tra mito e storia - Gatto Rigatelli - Sicania editore
Mistero Napoletano - Ermanno Rea - Einaudi editore
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