mercoledì 9 gennaio 2013

in Morte di un matematico napoletano



“Morte di un matematico napoletano” di Mario Martone.
Indica già nel titolo la definitiva inversione temporale indotta dal cinema, lo sdoppiamento inevitabile anche dentro la semplicità, la frattalità di ogni linearità: "morte di..", invece che "vita di..", non biografia, un matematico, un napoletano, un sospetto accostamento surrealista supportato invece dalla storia.
Morte di un matematico napoletano segna la completa estraneità di un personaggio (Carlo Cecchi in Renato Caccioppoli) rispetto ai suoi forti apparentamenti (famiglia, città, università), magnificamente visti dal film. La prima parentela è quella col set, anzi diventa set: Napoli. La prima scena è un tentativo di fuga geografica e alcolica placidamente interrotta da una richiesta di documenti. E la fortissima parentela col set di Napoli e l'esemplarità politica di una biografia ribadita dallo straordinario lungo ricominciamento rosselliniano dopo il sucidio (la scena del funerale), sono nulla, se non si riesce neanche a torcere la propria mano finchè si riafferri da sola, a mettere a contatto in  un istante la parola e la cosa, la formula e il peso, l'immagine e il fuoricampo, due occhi filmati e quel loro controcampo assoluto.
Il film si pone oltre, dalla parte della lesione interna, nascondendo fino alla fine la mossa più radicale, ma costringendoci fin dall'inizio con un opera già 'postuma' (morte di..) ad avanzare in un territorio di spettri, di morti non-morti, identificazione precisa sia del cinema sia di napoli.
Composizione e decomposizione di un corpo che fu.
[Enrico Ghezzi]

Ultimi giorni nella vita di Renato Caccioppoli (Capodimonte, Napoli1904- Chiaia, Napoli1959), figlio di Giuseppe (noto chirurgo napoletano) e della sua seconda moglie Sofia Bakunin, (figlia del rivoluzionario russo Michail Bakunin, che soggiornò più volte a Napoli nella sua attività politica),
matematico insigne, provocatore antifascista, eretico compagno di strada del PCI, protagonista della vita culturale di Napoli, dandy alcolista, raffinato pianista e cinefilo, un mito per i giovani, abbandonato dalla moglie e allontanatosi dai compagni e dai colleghi di ateneo, finì suicida.
Martone, senza retorica, racconta Caccioppoli (un Carlo Cecchi di straziante intensità) senza dirci della sua vita (non è un film biografico ne leggendario, non sarebbe possibile), nella disillusione e nel tormento di una Napoli ingiallita e quasi crepuscolare che lo riflette come uno specchio in frantumi, senza portare lo spettatore a collegare il suicidio a questo o a quest'altro motivo (il tradimento della moglie, l'alcol, la delusione politica), come quei giornalisti e scrittori che invece così facendo hanno ridotto l'esistenza a parzialità.
DOCENTE ALLA FEDERICO II
Giovanissimo ottenne un premio ministeriale per la matematica e nel 1931, vincendo il concorso a soli 27 anni la cattedra di Analisi algebrica all'Università di Padova. Nel1934 tornò a Napoli per coprire la cattedra di Teoria dei gruppi; successivamente passò alla cattedra di Analisi Superiore e dal 1943 a quella di Analisi Matematica.
In pochi anni diventa socio ordinario delle più importanti Accademie della matematica e delle scienze.
Non ebbe mai dei grossi riconoscimenti internazionali, sia per la sua trascuratezza nei dettagli dei suoi scritti, sia a causa dell'isolamento in cui il regime fascista aveva gettato la cultura italiana.
Oggi Renato Caccioppoli è considerato uno dei più creativi e importanti matematici italiani della prima metà del Novecento, con il suo “pensare in grande” e il suo non voler celare gli orizzonti infiniti della ricerca.
Renato Caccioppoli non era probabilmente il professore che uno studente sogna di avere ad ogni esame: a volte teneva le lezioni in napoletano, (era poliglotta, famose anche le sue battute in francese), altre volte era visibilmente ubriaco e disattento.
Teneva lezioni brevissime, arrivando sempre in ritardo e lasciando l’aula spesso in anticipo: giustificava la cosa spiegando che un quarto d’ora delle ‘sue’ lezioni contenevano più scienza e informazione di due ore di lezione normale. E forse era vero: gli studenti erano affascinatissimi dal suo carisma, anche se molti chiedevano di cambiare cattedra per sostenere dopo i corsi l'esame con l'altro docente di ruolo. Superare un esame con Caccioppoli era motivo di grande orgoglio, ma solo pochi ardimentosi osavano cimentarsi.
Caccioppoli era intollerante nei confronti dei piccoli trucchi degli studenti, delle mezzecalzette raccomandate della borghesia, dei superficiali e dei pressappochisti che lo rendevano severo, a volte intrattabile e velenoso sopratutto in sede di esame. A lezione no. Era più disponibile e gentile.
L'assistente era Don Savino, e neanche lui sfuggiva alle pungenti battute del professore. Un “prete”, assistente d'‘o prufessore cumunista, faceva parte del mito, del “paradosso” Caccioppoli e alimentava la “leggenda metropolitana” di questa figura così stravagante.
Alla Federico II girano ancora oggi molte storie sulla sua personalità..come la volta che bocciò uno studente reo di non aver disegnato il tratteggio agli estremi di una retta; il professore obbligò il ragazzo a continuare la linea di gesso fino alla fine del corridoio...

IL PERIODO FASCISTA FRA I PAZZI 'CIVILI'
Caccioppoli provava una forte avversione per un regime antidemocratico come quello fascista e sentiva un profondo fastidio verso la sua grossolanità.
Già tenuto sotto controllo, a Padova, da parte dell’occhiuta polizia politica fascista, è a Napoli che l’antifascismo di Caccioppoli viene allo scoperto con l’arma che sente più propria e più sottile: l’ironia. Così, il matematico comincia a guadagnare notorietà negli ambienti antifascisti. Partecipa alle riunioni clandestine degli oppositori del regime che si svolgono fra un bar e l'altro, in casa di qualche amico o compagno, nel magazzino di una libreria.
Nel maggio del 1938 tenne un discorso contro Hitler e Mussolini, quando quest'ultimo era in visita a Napoli: insieme alla compagna, Sara Mancuso, fece suonare l'inno nazionale francese da un'orchestrina, dopodiché iniziò a parlare contro il Fascismo e il nazismo in presenza di agenti dell'OVRA. Fu arrestato con il rischio di confino, ma sua zia, Maria Bakunin, all'epoca docente di Chimica all'Università di Napoli, riuscì a farlo scarcerare convincendo le autorità dell'incapacità di intendere e di volere del nipote.
Caccioppoli fu così internato in un centro psichiatrico insieme a pazzi e malati ricoverati e dimenticati da anni, ma continuò anche lì gli studi di Matematica, elaborando proprio allora alcune delle sue migliori teorie. Dirà successivamente che in quel periodo del fascismo trovò fra quei pazzi persone molto più civili rispetto ai liberi schiavi del regime.
Un altro famoso aneddoto racconta che durante l'epoca fascista, a seguito del divieto per gli uomini di passeggiare con cani di piccola taglia (secondo i fascisti per "salvaguardia della virilità"), camminò, come forma di contestazione, per le principali strade di Napoli (via Caracciolo e Corso Umberto) con un gallo al guinzaglio. (!)

MILITANZA E PCI - UN COMPAGNO POCO AFFIDABILE
Caccioppoli si impegna attivamente in politica, assieme a moltissimi altri intellettuali napoletani.
Nel dopoguerra si avvicinò al Partito Comunista Italiano.
Il PCI viene visto come la forza in grado di rigenerare il Paese e dargli una prospettiva di trasformazione. Comincia a frequentare le sezioni del partito (di cui, tuttavia, non prenderà mai la tessera), la sede napoletana del'Unità e a tenere comizi per il partito. Gira sembra con una copia dell'Unità nel giaccone. Le appassionate discussioni politiche con i giovani che la frequentano (Francesca Spada, Ermanno Rea, Franco Prattico, Ivan Palermo, Mariano D’Antonio) si svolgono nella sede del quotidiano comunista, intorno ai tavoli del bar “Gambrinus” o in qualche trattoria, e si spingono spesso fino a notte inoltrata.
Per i suoi precedenti penale e per il suo impegno in almeno due occasioni, nel 1953 e nel 1954, gli fu negato il visto sul passaporto per partecipare a congressi internazionali.
Ma Caccioppoli è un non-conformista nato, è insofferente alle logiche di partito. Critica un Pci troppo rigido, fedele solo ai propri obiettivi, a se stesso e a chi lo giuda, non ne condivideva la politca su alcune questioni internazionali (rimase profondamente turbato dall'invasione dell'Ungheria nel 1956) e la dottrina scientifica ufficiale sovietica.
La sua presenza intorno al partito veniva vissuta con sofferenza, con malcelata sopportazione.
Per paura dei suoi discorsi troppo critici, Amendola lo pressava per avere una scaletta, una bozza scritta da controllare prima dei comizi
Un giorno a Bari invece di un comizio per “Partigiani per la pace”, il professore tenne un improvvisato concerto di pianoforte.
Certo averlo alle iniziative costituiva un grande vantaggio sul piano propagandistico. Ma che peso e che preoccupazione doversi portare appresso un “simpatizzante” simile, genio sin che si vuole, ma così imbevuto di decadentismo, così diverso, così distante. E così pericoloso, per via del grande ascendente che aveva soprattutto sui giovani …e lui non era affatto inconsapevole d’essere fonte di apprensione e anche di fastidio. Stava semplicemente al gioco, replicando a modo suo: con la forza dell’ironia.
L’amore per la libertà, la critica feroce delle convenzioni borghesi, l’insofferenza per l’arroganza e la stupidità del potere, non gli derivavano soltanto da una tradizione familiare dominata dall’ingombrante figura di nonno Bakunin, ma forse erano anche conseguenza diretta del suo inflessibile rigore intellettuale, intransigente e scontroso e della sua attività di matematico innovativo.
Una grande dirittura morale nascosta sotto una maschera d’ironia e nonchalance, ma “inaffidabile” per i compagni.

DUE RITRATTI E UN PIANOFORTE – LA CULTURA DI CACCIOPPOLI
Frequenta gli stessi salotti, gli stessi circoli, gli stessi caffè di La Capria, Ghirelli, Anna Maria Ortese, Patroni Griffi, Francesca Spada, Alicata: a Sorrento incontra Gide (che nel suo Journal ricorderà quegli occhi così sfavillanti d’intelligenza), frequenta Moravia ed Elsa Morante, si lega d’amicizia con Neruda ed Eluard.
La sua notorietà non è limitata ai cenacoli intellettuali: quando di giorno percorre la strada da Palazzo Cellamare a via Chiaia, dove abita da solo, fino all’università, quando fino a notte alta passa da un caffè all’altro, tutti riconoscono, non foss’altro che per l’esile silhouette di dandy trasandato, ‘o prufessore, o come anche lo chiamano ‘o genio, o'pazz, o'comunista.
Sperimentò la vita dei barboni, e fu arrestato, ubriaco fradicio, per accattonaggio di notte dalla polizia per un controllo a Piazza Garibaldi, a Napoli, nell'incredulità degli agenti.
Un impermeabile e una canottiera bianca (si vestiva sempre così con qualsiasi clima e temperatura), per quella che passerà alla storia come la leggenda del “vestivamo alla Caccioppoli”, per questo logoro trench bianco beige, sporco, portato in giro, alla Tenente Colombo, per le strade di Napoli, con sempre maggior sciatteria; questo matematico geniale e insuperabile che si perde nell’alcool, intellettuale colto e raffinato, intransigente e spietato avversario dell’ignoranza e della banalità, affidava le sue lunghe notti a compagnie non sempre raccomandabili.
Un uomo innamorato di cinema (fondatore del Circolo del Cinema, uno dei primi cineforum post-guerra a Napoli) e un appassionato di musica (era anche un ottimo pianista).
Con Caccioppoli, notturno anticonformista fino allo scandalo, le serate finivano per lo più all’osteria. Altre volte invece finivano a casa sua, dove con Francesca Nobili Strada (la giornalista dell’Unità che morì suicida due anni dopo la morte di Renato) il professore si metteva a suonare il piano: a quattro mani suonavano pezzi per lo più dannatamente romantici, pezzi che non finivano mai, oppure finivano per congiungersi quasi senza soluzione di continuità ad altri pezzi, obbligando incalliti chiacchieroni ad un silenzio forzato, talvolta insopportabile, tanto che il gruppo si sfoltiva progressivamente, per successive defezioni in punta di piedi.
Influenzato dall’anticrocianesimo, amava discutere di Nietzsche, Proust e l’amato Rimbaud.
Aveva piazzato sul proprio scrittoio, in due portaritratti d’argento, il volto del giovane poeta e quello di un matematico: Rimbaud e Galois, destinati a colloquiare tra loro, nonché a notte entrambi con il professore stesso.

LA MORTE
L'8 maggio 1959 arriva la notizia del suicidio, un colpo di pistola alla testa, nella sua casa di Palazzo Cellammare (fra via chiaia e via filangieri).
La crescente instabilità aveva acuito le sue "stranezze", al punto che la notizia non colse di sorpresa quanti lo conoscevano.
Un uomo 'disabitato', come lo definì qualcuno, che si portava dietro tutte le lacerazioni e i conflitti interiori mai risolti.
Un giorno disse: “Se hai paura di qualcosa, misurala; scoprirai che si tratta di un’inezia”.



- BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA: 
Morte di un matematico napoletano - Fabrizia Ramondino Mario Martone - Ubu editore
La regola del disordine - Roberto Gramiccia - Editori Riuniti
Renato Caccioppoli L'enigma - Antonio Toma - Edizioni scientifiche italiane
Renato Caccioppoli tra mito e storia - Gatto Rigatelli - Sicania editore
Mistero Napoletano - Ermanno Rea - Einaudi editore


Nessun commento:

Posta un commento