lunedì 2 aprile 2012

L'elogio dell'oblio [Emir Kusturica]

"L’uomo è incline all’oblio. Ma la tecnica usata per dimenticare, col tempo, diventa una fondamentale abilità umana? Se l’oblio, quel monarca, non sapesse mettere in ombra i pensieri dominati dalle passioni, e consegnarli alla memoria perché siano messi in ordine, il cervello diventerebbe un semplice container. E il giorno successivo potrebbe, in assoluto, iniziare senza l’oblio? Che cosa accadrebbe se dovessimo seguire la sofferenza come fosse una cronaca ininterrotta dal centro della nostra anima, e se l’oblio non eclissasse la storia difficile della nostra vita, così come una nube copre il sole? Non sopravviveremmo. Lo stesso accade con le cose che suscitano grande gioia. Se l’oblio non le anestetizzasse, impazziremmo dalla felicità. Solo la dimenticanza, col tempo, lenisce il dolore per un amore perduto. Quando il nostro rivale ci molla un ceffone durante la ricreazione, conquistandosi così le simpatie della bambina di cui siamo entrambi innamorati, è solo l’oblio, in seguito, a farci guarire dall’irreparabile perdita amorosa? La ferita si rimargina, così come, col tempo, una fotografia perde la patina lucida della carta fotografica.
Come fa l’uomo a sopravvivere alle crisi storiche? Solo grazie al fatto che prima e dopo l’evento critico regna l’oblio. La capacità della massa di dimenticare le cause dei grandi rivolgimenti della storia, e di accettare la successiva presa di coscienza come verità, mi ha spinto a scindere l'oblio dal legame razionale di causa-effetto. Quando, dopo la guerra in Bosnia, ho visto i cleronazionalisti osannati come fossero i più grandi combattenti per una Bosnia multietnica, solo perchè venissero realizzati gli obiettivi strategico-militari di una grande potenza, mentre le vittime di tutte le parti in causa erano meno importanti, tranne quelle che servivano allo scopo citato, ho accettato la verità che l'oblio è come una chiusa, alla quale giungono sia i pensieri sfuggiti dal passato sia quelli del futuro.
Dopo le vittime e le sofferenze delle guerre balcaniche e alla fine del bombardamento della Serbia, anch’io cominciai a esercitarmi all’oblio, o almeno a ricacciare indietro i pensieri che producevano tensione.
La questione delle crisi e delle guerre è cambiata, e l’oblio, col tempo, è diventato una consolazione. Infatti, se non ci fosse l’oblio, come potrebbe l’uomo abituarsi alle idee perverse del mondo contemporaneo? Come avrebbe accettato, per esempio, la guerra umanitaria? Quando appartieni a un piccolo popolo che si rifiuta di seguire senza obiezioni le idee dei grandi, e che, al culmine di una ricomposizione del mondo, si chiede: Dove siamo noi in questa storia??.
L'oblio, in seguito, gioca un ruolo decisivo nel processo di assuefazione. Infatti, prima dimentichi di averle prese sul muso e riformuli in fretta la domanda di cui sopra, trasformando il plurale in singolare, e chiedendo quindi “Dove sono io in questa storia??”.
Cosi è anche nella vita individuale. Prima dimentichi quel ceffone nel cortile della scuola, prima si crea la possibilità di un nuovo innamoramento. L'oblio è una dose di ricordo, il suo elemento fondamentale su cui anche nella storia si conta e con cui si gioca. Non solo nel caso di un muso rotto per cattiva condotta.
Benché io sia fra quelli che credono che dimenticare sia una salvifica formula di sopravvivenza, voglio discostarmi dalla tendenza contemporanea all'oblio. Oggi la massa segue il modello gallinaceo e ricorda solo ciò che avviene fra una distribuzione di becchime e la successiva. Soprattutto perchè l'oblio è stato messo in funzione dalla teoria della fine della storia, che si è diffusa nel mondo negli anni novanta del secolo scorso. I tamburini del capitalismo liberale ci hanno in tal modo suggerito di rinunciare alla fede nella cultura e nell'identità per abbandonarci al vortice della rivoluzione tecnologica che dovrebbe canalizzare tutte le correnti del nostro destino, così che il mercato divenga il regolatore dei principali processi della nostra vita. Questo atteggiamento prepotente ha risvegliato in me l'idea di regolare i conti con la memoria, ma anche di farli con l'oblio.
Nel millenovecentonovantadue morì mio padre. Lo stesso anno la Jugoslavia scomparve e, dopo il distacco della Croazia, il telegiornale del primo canale della televisione francese iniziò con la notizia: “La Jugoslavie n’existe plus”.
Per questo il finale di Underground è una compagnia balcanica dionisiaca che va alla deriva.
Proprio perché allora mi sembrava che la terra mi si spaccasse sotto i piedi. Se dovessi girare il seguito di Underground, la terra non si aprirebbe più. Sarebbe il cielo a squarciarsi, alla fine."
[tratto da "Dove sono in questa storia" di Emir Kusturica]
Il cinema di Kusturica è quello di un popolo che non ha più terra e non ha più casa.
Le scelte della sua vita e il suo modo di raccontare riflettono questo aspetto, e creano un contrasto fra la rappresentazione drammatica del reale e un certo lato bizzarro nostalgico e fantastico di vedere il mondo.
Precisiamolo meglio attraverso la definizione del termine 'grottesco': insolitamente deforme e innaturale, bizzarro, inspiegabile e caricaturale al punto tale da andare contro il senso comune, innescando una comicità allibita.
Dopo la guerra e gli eventi successivi, Kusturica affermò che la sua città non era più sua, cambiata, distrutta nel paesaggio nella cultura e nelle abitudini.
Dopo tanti anni di cosmopolitismo (Stati Uniti, Francia, Serbia ecc..), ha deciso di realizzare l'utopia di costruirsi una città tutta per se.
Mokra Gora è un incantevole paesino montano della Serbia, sprofondato da sempre nel Medioevo e immerso nella natura, che dal tempo della guerra è stato abbandonato dagli uomini, fino a quando, cercando la località dove girare “La vita è un miracolo”, arrivò Emir Kusturica.
Innamoratosi del posto e della storia, il regista ha acquistato la zona e ha fondato il suo villaggio in cima alla montagna, la “Città di legno”, costruita secondo i principi della bioarchitettura.
Il regista si è proclamato sindaco ed è lui ad emanare le leggi.
“Non credo più tanto alla democrazia. Nel mio paese ha prodotto solo guasti. D’ora in poi le regole le stabilisco io. In questo villaggio tutto è al contrario: normalmente sono i cittadini che scelgono il sindaco, invece qui sono io a scegliere gli ospiti.
Gli abitanti non potranno essere più di un centinaio, gli altri potranno vivere nel villaggio per un po’, imparare qualcosa e poi andarsene. L’importante è che accettino le regole. E che cosa potranno fare questi cittadini a tempo? “Studiare, fare cinema, musica, ceramica. Essere creativi.
Un posto per la rinascita morale ed estetica del popolo, un’unione di turismo e cultura”.
Ho perso la mia casa durante la guerra. Per questo ho voluto costruire il mio villaggio. E' un progetto utopico, per questo è intrigante. Organizzerò lì seminari per chi vuole imparare a fare cinema, concerti, a lavorare la ceramica, dipingere. E’ il posto dove io vivo e dove un po’ di persone, di tanto in tanto, arrivano. Ci saranno ovviamente altri abitanti che lavoreranno a questo progetto. Sogno un luogo aperto alla diversità culturale che sfida la globalizzazione e l'appiattimento culturale”
Nel sottosuolo del villaggio c’è anche una sala cinematografica da un centinaio di posti, dove si svolge annualmente il festival del cinema fondato dal regista-sindaco.
Ma il nomade, l'apolide Kusturica, non poteva certo essere un sindaco di un luogo nella norma. A Mokra Gora Kusturica è il re di una città che non esiste.

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